martedì 26 ottobre 2010

Il decadimento di Busto Arsizio dall’80 in poi!

Il progresso sociale di qualsiasi collettività lo si misura anche dal grado di cultura che la stessa è riuscita a raggiungere.
La cultura è una parola piena di significato, che può essere valutata sotto plurimi aspetti.
Una collettività dove la cultura è in evoluzione, è anche una collettività che sotto tutti gli altri profili ha la stessa, se non maggiore, evoluzione.
Quando Busto ha avuto il suo massimo fulgore? Lo ha avuto negli anni ’60 e ’70 nel corso dei quali vi è stato un notevole incremento della popolazione, grazie anche all’immigrazione l’economia ha raggiunto livelli eccezionali e forse irripetibili, nel campo sportivo avevamo la Pro Patria che era in serie A, la squadra di pallacanestro aveva raggiunto livelli molto alti e gli esempi possono essere molteplici.
Un settore in particolare che in quegli anni aveva avuto una notevole sviluppo era quello dell’arte; a Busto vi erano molte gallerie d’arte e tutte di alto livello: ricordiamo tra le altre l’Italiana Arte la Galleria Punto Sette e Bambaia; vi era anche chi aveva aperto una galleria in via Carducci dove le vendite dei quadri venivano fatte per corrispondenza, tanto per citare le più famose e che abbiamo avuto la fortuna di frequentare.
Oggi a Busto cosa è rimasto? Sono rimaste le gallerie personali dei maestri Preite e Farioli, la galleria di via Bambaia e la Fondazione Bandera che solo grazie a dei privati che, con notevole sforzo anche economico, mantengono vive queste iniziative.
Se si esamina il periodo dagli anni ’80 in poi, si nota un decadimento dell’economia di Busto, le grandi aziende hanno chiuso in parte per la crisi che ha colpito il settore meccano-tessile ed altre perché le loro redini sono passate nelle mani della “famosa” terza generazione che ha pensato a ben altro che gestire le aziende che avevano avuto la fortuna di ereditare dai loro padri. Nello sport la Pro Patria è passata di mano in mano ed è solo grazie a degli imprenditori prima milanesi e poi di Bergamo, che oggi sopravvive faticosamente; nel campo dell’arte abbiamo sopra scritto che cosa è successo e tutto questo fa pensare ad una Busto che si trova in una situazione di forte decadenza.
Qualcuno potrebbe sostenere che questo non è vero perché, ad esempio, a Busto viene curato in modo ampio il settore della storia locale con l’apertura a metà degli anni ’90 del museo del tessile e che vi è una cultura del dialetto ad alto livello.
Tutto vero! Ma ci chiediamo se questo possa rappresentare in senso compiuto tutta la cultura possibile o se non rappresenti un piccolo tassello di un mosaico più ampio, dal quale ormai di tasselli ne mancano moltissimi.
Per parlare di cultura compiutamente, è indispensabile che vi sia anche l’aiuto pubblico, in quanto non ci sono più i mecenati dei favolosi anni ’60!
Pensare che a Busto sorga un museo d’arte moderna come il Maga di Gallarate è improponibile, in primo luogo perché, come abbiamo già scritto, strutture di questo genere non devono farsi concorrenza e quindi va benissimo che Gallarate continui una tradizione che ormai dura da decenni sull’arte moderna e che Busto non entri in concorrenza con la città limitrofa.
Non vediamo però per quale motivo non si possa pensare anche ad altri settori dell’arte dove Busto possa diventare la culla per la provincia di Varese.
Pensiamo ad esempio alla raccolta civica di quadri del Comune di Busto. Si tratta di una collezione di notevoli dimensioni, con autori importanti che però ha scarsa pubblicizzazione all’esterno e siamo convinti che solo una piccola parte dei nostri cittadini, senza pensare a chi non abita a Busto, ne conosce l’esistenza.
Non solo, nelle sacrestie delle chiese locali vi sono decine di quadri di grande bellezza ed importanza, che sono lasciati nel dimenticatoio per non dire forse, in alcuni casi, anche in stato di abbandono con le conseguenze che ben si possono immaginare.
E allora ci chiediamo per quale motivo non si possa trovare una struttura più ampia dell’attuale, dove ospitare tutti i quadri di proprietà del nostro Comune, i quadri che possono essere messi a disposizione o concessi in prestito da parte della Curia locale e da privati cittadini.
Siamo convinti che nel momento stesso in cui una iniziativa di questo genere dovesse avere successo, vi potrebbero essere anche dei nostri concittadini collezionisti d’arte, e ve ne sono molti, potrebbero decidere un indomani di lasciare la loro collezione in donazione alla loro città.
È ovvio però che non si può pensare che iniziative di questo genere possano essere prese con la preoccupazione che i propri quadri, acquistati con tanta fatica, possano poi essere relegati in qualche cantina senza alcuna cura e senza che possano essere visti da occhi esperti o meno esperti, ma che possano essere ammirati e apprezzati da tutti.
Noi amiamo l’arte, anche se ne capiamo ben poco, se un quadro ci piace affermiamo che è bello anche se non riusciamo a capire che cosa lo stesso rappresenti e riteniamo che la gran parte delle persone ragiona come ragioniamo noi: l’importante è che l’arte sia apprezzata.
A Busto è possibile che vengano riaperte delle gallerie d’arte che, se curate con dedizione, possono col tempo riacquistare quell’interesse che ad esempio ha suscitato, non solo a Busto, la Fondazione Bandera.
L’importante è che ci sia la volontà di far risorgere Busto almeno sotto questo profilo, e purtroppo per fare questo ci vogliono le idee, ma come ben sappiamo le idee corrono solo sulle gambe delle persone.
Non chiediamo la venuta del Messia, chiediamo solo che vi siano delle persone di buona volontà, amanti dell’arte, che si impegnino per fare in modo che i bustocchi e i bustesi possano nuovamente ammirare nella loro città delle opere d’arte senza doversi recare nelle città limitrofe per visitare un museo o a decine di chilometri di distanza per visitare delle mostre.
È un’utopia? Forse sì, ma l’uomo vive di utopie anche perché molte volte queste utopie, con la volontà e il lavoro di molti si sono poi realizzate.
                                                                                                          (Da L’Informazione 22 ottobre 2010)

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